Siberia - A masterful William Dafoe

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“Reason is an obstacle for secrets which are the dark sides of knowledge”

This assumption would be enough to tune into the type of approach to adopt for the viewing of this film by Abel Ferrara. There is nothing logical about it. The plot is a mix of visions, hallucinations, projections of guilt and desires. Shadows from the past and new announcements that come from outside and are carried in the womb, as bright as they are damned.

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The gigantic Willem Defoe is a man isolated from humanity in the icy and white lands of the North to look for himself. Instead, he will end up lost, because from a distance he will be unable to see his own arrogance and ignorance. And he will continue to get lost while he will look for his soul in the wrong place, inside himself, while the soul is outside himself and speaks another language.

Ferrara and Defoe speak another language, complex, fascinating. That of a cinema that in its highest declination uses images to give shape to the projections of the unconscious, nightmares, facets of the soul, where lights and shadows coexist and fight and win and lose and above all live and survive.

Willem Defoe is a multifaceted interpreter capable of giving body, soul and voice to all the torments of a director's mind that makes a film and the film as if it were a practice of meditation and investigation of the spirit beyond matter. With these assumptions it is easy to glimpse already in Siberia the essential features of a Padre Pio told by the director himself, certainly fascinating and controversial and who also put his interpreter (Shia LaBeouf) in crisis.

ITA

“La ragione è un ostacolo per i segreti che sono i lati oscuri della conoscenza”

Basterebbe questo assunto per sintonizzarsi sul tipo di approccio da adottare per la visione di questo film di Abel Ferrara. Di logico non c’è nulla. La trama è un intreccio di visioni, allucinazioni, proiezioni di sensi di colpa e di desideri. Ombre dal passato e nuovi annunci che vengono da fuori e sono portati nel grembo di maternità, tanto luminose quanto dannate.

Il gigantesco Willem Defoe è un uomo isolatosi dall’umanità nelle terre gelide e bianche del Nord per cercarsi. Finirà invece per perdersi, perché da lontano sarà incapace di vedere la propria arroganza e la propria ignoranza. E continuerà a perdersi mentre cercherà la propria anima nel posto sbagliato, dentro di sé, mentre l’anima è fuori da sé e parla un’altra lingua.

Ferrara e Defoe parlano un’altra lingua, complessa, affascinante. Quella di un cinema che nella sua più alta declinazione utilizza le immagini per dar forma alle proiezioni dell’inconscio, degli incubi, delle sfaccettature dell’anima, dove luci e ombre convivono e lottano e vincono e perdono e soprattutto vivono e sopravvivono.

Willem Defoe è interprete poliedrico capace di dare corpo, anima e voce a tutti i tormenti di una mente registica che fa di un film e il film come fosse una pratica di meditazione e di indagine dello spirito oltre la materia. Con questi presupposti è facile intravedere già in Siberia i tratti essenziali di un Padre Pio raccontato dallo stesso regista, sicuramente affascinante e controverso e che ha messo in crisi anche il suo interprete (Shia LaBeouf).



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